Riportiamo questo intervento del professor Zamagni, professore ordinario di Economia Politica all'Università di Bologna, in cui parla del progetto Fisica in Moto come una “minoranza profetica” che apre la strada verso una nuova forma di responsabilità sociale dell'impresa.
Minoranza perchè unico, profetico perchè anticipa quello che dovrà avvenire.
"Dunque premesso che non ho titolo per parlare io del progetto dato che non sono io un ingegnere, non avendo quindi conoscenze ingegneristiche, le cose che andrò a dire sono riferite al modello di organizzazione e di educazione che questo progetto di cui lei mi parla mette in evidenza.
Un antefatto è necessario, l’università nasce nel mondo, come oggi la conosciamo a Bologna nel 1098 e per i primi secoli di vita il rapporto tra l’università e la società civile era stato fortissimo ed è esattamente in questo contesto che si sviluppa il cosidetto modello “leonardesco”: il suo è il rapporto simbiotico tra gli studiosi dell’università e l’equivalente di allora dell’impresa, gli artigiani. Le cose cambiano a partire dalla fine del ‘500 quando si afferma una dicotomia tra Università e Accademia e quindi si realizza una separazione in base alla quale l’Università deve astrarre dalla realtà circostante. Questa tendenza verrà poi ulteriormente intensificata, per quanto riguarda noi italiani, nell’epoca napoleonica, perché quando Napoleone arriva a Bologna cambia la struttura di governance dell’Ateneo di Bologna. Ad esempio l’Università che era allora era sotto lo Stato Pontificio ammetteva alle donne arrivare ai più alti livelli, c’erano 4 donne che avevano la cattedra, Laura Bassi era la più famosa, mentre con Napoleone le donne vennero escluse e ci vorranno oltre 120 - 130 anni prima che una donna arrivi alla cattedra.
Tutto questo in nome dell’idea secondo cui l’Università non doveva mischiarsi con la operatività, soprattutto doveva guardarsi dal mondo dell’impresa perché il mondo dell’impresa si diceva avesse un valore contaminante. Questo era il modello humboltiano nell’ottocento teorizzato da Humbolt di Berlino che ha finito con l’esercitare una dominanza nell’Europa continentale, non in Inghilterra, fino agli anni ’60. E’ esattamente un modello di separazione, gli universitari, gli studiosi devono stare nei laboratori, poi una volta che avranno prodotto la conoscenza potranno metterla a disposizione degli altri. Ma il mondo dell’impresa non è in grado di dialogare con l’Università.
A partire dagli anni ’60, ma in Italia da un decennio dopo, le cose sono gradatamente cambiate, non dico che ancora oggi nel mondo universitario non ci siano quelli che la pensano così, sono coloro i quali dicono l’università non deve dialogare con l’impresa, perché appunto l’impresa è contaminante, la paura dei soldi, l’impresa paga e costringe l’Università a fare quello che lei vuole. Ma oggi questi sono una minoranza esigua, finalmente ci stiamo rendendo conto che siamo entrati in una nuova stagione che, paradossalmente, ci riporta all’antico, stiamo tornando allo spirito originario dell’Università, dove l’Università non è una torre eburnea messa in cima al colle, ma è parte vitale, è il motore della società civile, ma se è un motore cosa vuole dire che deve essere collegato, come il motore delle macchine, per l’appunto, alle altre parti . Ecco perché anche in Italia, e a Bologna in particolare da una decina d’anni, questi temi si stanno diffondendo. E l’idea è sostanzialmente che la nuova conoscenza è frutto di un nuovo processo bidirezionale, dall’Università alle imprese e dalle imprese all’Università, cioè anche le imprese possono fornire elementi conoscitivi anche se in forme diverse ed in proporzioni diverse.
Allora qual è il punto d’ora in avanti? Il punto è duplice:
I) Bisogna che questa novità la capiscano sia gli uni che gli altri, sia gli universitari ma sia gli imprenditori. Per fortuna a Bologna abbiamo imprenditori illuminati, nel senso “leonardesco” del termine, e quindi imprenditori che capiscono questi discorsi, ma bisogna dire che non sono la maggioranza, sono appunto una minoranza. E la stessa cosa, io per onestà devo dire, è il mondo universitario, non tutti i professori ragionano così, ma non dobbiamo scoraggiarci, dobbiamo avere pazienza, dobbiamo essere rispettosi però portare avanti questo approccio
II) Cosa vuol dire concretamente questo? Che le imprese devono farsi carico, in maniera proporzionale alla propria dimensione, alla novità che questo modello sta imponendo, e quindi devono farsi carico di tutto ciò che questo comporta, sia in termini di disponibilità finanziarie, sia in termini di risorse umane. Al tempo stesso l’Università deve cambiare il modello di governance, e qui le difficoltà sono più grosse. Quello che io ho già detto quattro o cinque anni fa, allora mi derisero, oggi non più, dissi: “Le università devono diventare delle Fondazioni di diritto privato”. E la cosa interessante è che il Ministro Fioroni non più tardi di una settimana fa (del 17 gennaio n.d.r.) ha detto che le scuole superiori devono adottare il modello della fondazione, quindi vuol dire che quando le idee vengono lanciate generano il loro frutto. Se una scuola superiore deve adottare il modello di una fondazione a maggior ragione deve farlo l’Università, perché altrimenti con la struttura attuale i rapporti tra l’Università ed il mondo dell’Impresa sono ancora resi molto difficoltosi. Il rapporto tra Università ed l’Ente Pubblico, come il Comune, la Provincia, la Regione sono facili, perché pubblico con pubblico. Ma quando l’Università deve collegarsi col settore del privato, del civile ecco nascono le difficoltà.
Ecco allora in conclusione: l’Università deve spingere per andare verso il modello fondazionale di diritto privato, le imprese e gli imprenditori devono capire la novità di cui ho detto e, secondo, farsene carico, non possono comportarsi da free riders, chi si avvale senza contributi. Questa era la vecchia mentalità degli imprenditori con cui io sempre parlo, che dicono che alla scuola e all’Università ci deve pensare lo Stato. Allora io a loro dico che sono degli irresponsabili, perché se voi date tutto sulle mani dello Stato non dovete poi lamentarvi dello statalismo. Perché comodo lamentarsi dello statalismo però ricevere i benefici di Stato. Se vogliamo essere seri e coerenti dobbiamo capire che per superare lo statalismo bisogna che la società civile organizzata si rimbocchi le mani e si assuma le sue responsabilità. Che non è solo quello di dare soldi ma di mettere a disposizione il know-how ed il capitale umano.
A me sembra in conclusione che il progetto che è stato avviato dalla Ducati vada in questa direzione, in questo senso è un progetto pilota, ed è un progetto la cui natura è della “minoranza profetica”. Nella teoria economica e dell’organizzazione noi chiamiamo “minoranze profetiche” quei soggetti dell’economia che perseguono una strategia pur sapendo che essa non è conveniente nell’immediato. Ecco perché si chiama profetica perché anticipano quello che deve avvenire. Ecco perché il mio augurio, o la mia sollecitazione, è che la Ducati voglia mantenere, nonostante le difficoltà, la sua adesione a questa logica da minoranza profetica e quindi di non lasciarsi scoraggiare, di perseverare. Perché se questa, come io sono certo, avrà successo trascinerà, come sempre hanno fatto i profeti in ogni epoca, tutti gli altri. Questo è l’augurio che io voglio riservarle".